Il 2015 inizia al Teatro Filarmonico di Verona con la messinscena di uno dei titoli più amati dagli amanti dell’opera lirica: La traviata di Giuseppe Verdi.
L’opera, sicuramente tra le più popolari e conosciute, appartiene, assieme a Rigoletto e Il trovatore, alla “trilogia popolare” e si basa sul romanzo di Alexander Dumas figlio La dame aux camélias, che nasconde la turbolenta storia d’amore tra Marguerite Gautier e Armando Duval, una relazione realmente esistita tra lo scrittore e la celeberrima cortigiana Marie Duplessis.
Nonostante ora sia giustamente osannata, nel 1853 – data del debutto a Venezia – fu un fiasco, probabilmente a causa di un cast non all’altezza della parte e per un soggetto giudicato disdicevole e indecente dalla società alquanto puritana. Quello che in realtà mosse anche la censura ad obbligare delle modifiche era che per la prima volta venivano rappresentate su un palco vicende reali di una società contemporanea, anche se celate dietro ad una fittizia retrodatazione.
L’attuale allestimento studiato da Henning Brockhaus con Josef Svoboda ormai più di vent’anni fa (e che vinse il Premio Abbiati nel 1992), ancora oggi riesce a conquistare con il riuscitissimo escamotage del palcoscenico specchiato, suscitando lo stupore del pubblico fin dall’ergersi della parete di specchi inclinati, sulle note dello struggente Preludio dell’Atto I. L’azione viene collocata sopra tappeti dipinti ovviamente riflessi, ampliando così lo spazio scenico. Come in uno specchio ci si guarda da ogni angolazione e anche questa vicenda con i personaggi che la compongono vuole essere guardata da più angolazioni, dando più prospettive, più punti di vista, più opinioni (elemento che ben evidenzia la critica sociale alla base del dramma di Verdi).
Sul pavimento – e di conseguenza negli specchi – si alternano i bellissimi tableau dai colori sfavillanti che affrescano man mano il salone delle feste di Violetta o della casa di Flora con squisita eleganza, riproducono la deliziosa casa di campagna per il nido d’amore di Violetta ed Alfredo, per poi lasciare il posto al pavimento nudo e scuro dell’ultimo atto, ove si poggiano un letto, pochi cuscini su cui si adagia Annina ed un tavolino, così da focalizzare l’attenzione sulla morte della protagonista, la sua solitudine e la fine dell’illusione, fino alla conclusione a specchio raddrizzato per riflettere l’orchestra ed il pubblico stesso, lasciando ad ognuno la propria interpretazione di quanto avviene. Un allestimento che sa di riuscire sempre gradito e apprezzato anche se ormai ha toccato quasi tutti i teatri italiani e stranieri e non può dirsi propriamente una novità.
I cantanti hanno ottenuto un ottimo riscontro dal pubblico che ha riempito il teatro veronese, dimostrandolo soprattutto e spesso nei punti più famosi con scroscianti applausi a scena aperta. Francesca Dotto, nel ruolo del titolo, ha saputo portare a termine la sua recita in modo eccellente, regalando un’interpretazione giusta, studiata e sicura e di un personaggio complesso come quello di Violetta Valery. Voce calda, morbida, libera in tutte le zone, ben proiettata e squillante, non ha mai mancato di suono, neanche nel duetto del secondo Atto con Germont, in cui ha sfoggiato dei piani e pianissimi di rara fattezza. Non meno della sua voce è stata apprezzata la sua presenza scenica, la sua fisicità giusta e le sue doti attoriali. Alfredo Germontè stato interpretato da Antonio Poli, giovanissimo tenore in carriera, che si fonde bene con la sua partner e canta con voce fresca e pastosa che, pur non mostrando una potenza esponenziale, si cala molto bene nel ruolo del giovane innamorato e impulsivo, di cuore e passione. Grandissimo successo per il giovane baritono veronese Simone Piazzola e del suo Germont: un personaggio maturo, il colore pulito della voce si esprime uniformemente in tutta la gamma del suo registro dando forza ad un ruolo gestito con padronanza ed autorità. Peccato per la Flora di Elena Serra che appare senza voce, spesso completamente coperta dall’orchestra, forse poco adatta anche per il ruolo, al quale non ha saputo conferire un carattere definito e preciso, limitandolo a una comparsa. Tanti applausi anche per Alice Marini nei panni di Annina, che ha cantato il ruolo con bellissima voce, rotonda e presente, forse caricandolo un po’ troppo per essere una semplice domestica, ma sicuramente caratterizzandolo e dandogli così uno spicco e un’importanza che, seppur con poche battute, per il suo ruolo nella vicenda, forse merita. Hanno ben figurato nei ruoli di contorno: il Gastone di Antonello Ceron, il Barone Douphol di Nicolo’ Ceriani, il Marchese d’Obigny di Dario Giorgelè, l’ottimo Dottor Grenvil di Gianluca Breda, Giuseppe di Francesco Pittari, ed il Domestico e Commissionario di Romano Dal Zovo.
Il coro dell’Arena, diretto da Vito Lombardi, si mostra ben affiatato ed ottimo in scena, tranne qualche piccolo punto di smarrimento (udito soprattutto nel coro dei mattadori)
L’orchestra dell’Arena di Verona ha dato il meglio di se, sotto la guida del Maestro Marco Boemi che però, probabilmente con l’intento di imprimere alla rappresentazione un carattere estremamente toccante e drammatico, ha condizionato, in alcuni passaggi, l’esecuzione degli interpreti che sono stati chiamati a dura prova per seguire adeguatamente lo stacco di tempi alquanto distesi (che hanno però messo in luce le grandi capacità tecniche, di tenuta e di filati, soprattutto della Dotto e di Piazzola) o, al contrario, alcuni passaggi dalla ritmicità ben marcata e l’abolizione di postume e abituali corone.
Il pubblico che ha riempito il teatro ha tributato un buon successo per tutti gli interpreti con punte per Dotto, Poli ed il maestro Boemi, registrando infine un vero e proprio trionfo, forse anche per spirito patriottico cittadino, per Piazzola.
Mirko Bertolini