Recensione Il Turco in Italia a Ferrara

Recensione Il Turco in Italia a Ferrara

Ha preso il via la cinquantunesima stagione lirica del Teatro Comunale di Ferrara dedicato ora al compianto Claudio Abbado con Il Turco in Italia, una delle opere buffe più raffinate del grande Giachino Rossini ma tra le meno rappresentate. La regia è stata affidata al giovane Federico Bertolani che ha già dato prova in diversi teatri italiani di sapersi destreggiare con idee valide e non arbitrarie. L’opera è ambientata a Napoli e proprio nella città partenopea la vede il regista. Non nella romantica e leggiadra Napoli cantata  da Rossini, ma in una Napoli del dopo guerra, la Napoli di Totò, la Napoli protagonista della commedia di Scarpetta Un Turco napoletano, o meglio la Napoli descritta nel film omonimo di Mattoli. A dire il vero questa prospettiva non è espressa al meglio sulla scena, e la città partenopea è identificata solamente da alcuni pannelli scorrevoli che portano impressa una piantina stradale se si vuole escludere la pizza che viene portata a Selim al suo arrivo ma che difficilmente viene notata. A fatica Bertolani dimostra di avere come modello il cinema italiano degli anni cinquanta, il cinema della Loren, di Totò appunto e di De Sica. La vicenda viene svolta in modo poco originale e con un che di già visto. Poco delineati i personaggi e trovate buffe scarsamente comiche non fanno arrivare l’allestimento ai livelli che il giovane regista ci aveva abituato. Selim diventa pertanto la brutta copia dello “Sceicco bianco” di felliniana memoria, ma nulla più. Anche gli altri personaggi rimangono anonimi e anche il buffo Prosdocimo, personaggio chiave dell’opera, che tesse le trame ed è al di fuori degli schemi operistici dell’epoca, appare solo come un pedante commediografo a cui sono state aggiunte prolisse parti recitate. La stessa scena degli equivoci, che dovrebbe essere il clou comico dell’opera stessa, non viene colta anche perché, per scelte stilistiche e di costumi, non si capisce come mai ci sia questa confusione di ruoli … Unica trovata comica degna di nota è la macchina da scrivere di Prosdocimo, automatizzata, che lo segue come un cagnolino, ma nulla di più. La scenografa Giulia Zucchetta, in collaborazione con Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, oltre ai pannelli già descritti, ha messo sul palcoscenico ben poco: qualche cassa mobile nel primo atto (in riferimento al porto) e – senz’altro la più semplice ma più riuscita – una terrazza (la casa di Don Geronimo) significata solo da una semplice ringhiera e delle lenzuola stese. Il secondo atto poi pannelli con tratteggiate delle case è dapprima l’albergo e poi la sala da ballo; infine il porto con le sue casse. Minimale ma abbastanza efficace. L’allestimento tutto sommato piace al pubblico, forse per la sua eccessiva semplicità, ma fa rimpiangere altre regie di Bertolani (una per tutte la Maria Stuarda di Bergamo).

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Alla guida dell’Orchestra Città di Ferrara, il maestro Francesco Ommassini sceglie di proporre integralmente la partitura rossiniana senza tagli. La sua direzione rivela una conoscenza approfondita e dimestichezza della musica del maestro pesarese. La sua è una lettura ariosa e leggera, con tempi non troppo serrati. La sua mano è riuscita a far sostenere una concertazione brillante alla non brillante orchestra, mancante in diversi punti.

Piuttosto uniforme e abbastanza valido il cast. Tra tutti spiccava il Selim del basso baritono croato Marko Mimica; la voce è chiara è possente con un’ottima proiezione, riveste con disinvoltura il personaggio dandogli carattere e forza. L’ottima presenza scenica lo rende poi altamente credibile. Dopo un inizio non propriamente a suo agio, Cinzia Forte si conferma una piacevole Donna Fiorilla dal canto elegante e solido, facendosi notare per la qualità del fraseggio e la sicurezza nelle agilità. Sicuramente il personaggio vocalmente non le è congeniale, ma la grande professionalità la rendono non solo credibile scenicamente ma anche disinvolta nel canto. A suo agio invece nella parte è Lorenzo Regazzo in Prosdocimo, personaggio che sembra tagliato apposta per lui, vocalmente ineccepibile e preciso, e scenicamente nella parte assegnatagli dalla regia. Il buffo Giulio Mastrotaro esegue degnamente il ruolo di Don Geronimo, rivelandosi un ottimo caratterista corretto e coinvolgente, anche se il timbro è un po’ chiaro per il ruolo. Cecilia Molinari è una Zaida dalla bella voce brunita, intensa e dal bel fraseggio. David Alegret è un Don Narciso un po’ troppo impacciato in scena e con un una voce corretta stilisticamente ma dalla coloritura poco estesa, a tratti acerba e graffiante, sicuramente poco trascinante. Il giovanissimo Pietro Adaini in Albazar entusiasma il pubblico con la cavatina Ah! Sarebbe troppo dolce, la voce degna di menzione, anche se deve maturare ancora, possiede un ottimo colore e autorevolezza.

Non sempre ineccepibile il Coro lirico Amadeus diretto dal maestro Giuliano Fracasso.

Applausi condivisi e convinti per tutti gli interpreti.

Mirko Bertolini