Recensione: Jenůfa e l’Art Nouveau

 

Recensione: Jenůfa e l’Art Nouveau
Scena di Jenůfa. Foto: Rocco Casaluci

La drammatica vicenda dell’orfana Jenůfa, prima sfregiata, poi sedotta e abbandonata, madre e ingiustamente accusata di infanticidio, rimane uno dei capolavori del compositore slovacco Leoš Janàček, uno tra i maggiori del teatro musicale e strumentale del ‘900. In Italia è un autore praticamente sconosciuto ai più, ma le sue stupende pagine che fanno rivivere l’atmosfera dei paesi moravi di fine ottocento sono di repertorio nei principali teatri mondiali anche oggi. Non si può non fare il paragone con le nostrane pagine veriste e in effetti Janàček è un verista, le pagine della sua Jenůfa brillano per il contrasto tra sonorità rudi e violente e la dolcezza dei motivi di ispirazione alla tradizione popolare. Il Teatro Comunale di Bologna offre dopo quarant’anni il capolavoro del compositore in una visione spettacolare, in un allestimento che fa ricordare le felici stagioni dei teatri italiani. In collaborazione con il Teatro reale Le Monnaie di Bruxelles, il regista Alvis Hermanis realizza uno spettacolo che riesce ad unire in modo perfetto tradizione e innovazione, danza e canto, psicologia forte dei personaggi e sentimenti, drammaticità e dolcezza. Hermanis dà una doppia chiave di lettura all’opera, nel semplice contrasto tra l’interno e l’esterno: l’esterno è il mondo di fiaba, il mondo onirico in cui Jenůfa si sente immersa, l’interno è il mondo della dura realtà, in cui la povera protagonista assapora le amarezze e il dolore di una maternità strappata con la forza. Il primo atto si apre su una scena di ispirazione Liberty, e l’Art Nouveau sarà il filone conduttore tra i tre atti, incorniciando un teatro nel teatro in cui si svolgono le vicende, e le figure, tratte da molti capolavori dello stile floreale scorrono in questo riquadro per sottolineare l’anno in cui l’opera fu scritta (1904). Il primo e il terzo atto sono come una calda parentesi nella truce vicenda dell’infanticidio. In questi due atti compaiono i tradizionali costumi della festa delle valli Morave, pieni di colori e di forme bizzarre, splendide realizzazioni di Anna Watkins. Entrambi gli atti hanno come sfondo una danza continua, realizzata egregiamente dalla coreografa Alla Sigalova, le ballerine creano come una cornice ritmica e incessante per tutta la durata dei due atti, è il mondo formale, che allontana ipocritamente la brutalità dell’esistenza umana in un quadro ieratico da marionetta. Infatti i personaggi si muovono quasi come delle marionette, con pose plastiche e rigide. In questi atti emerge una enfatizzazione della forma, nel costume e nei gesti, forma che scomparirà completamente nel terzo atto, aprendosi in una stanza tetra e povera, una camera con cucina che ricorda gli appartamenti popolari sovietici. Qui sparisce la calma e il torpore dell’inizio per dar vita ad un episodio di crudeltà nel paesaggio innevato che si intravede dalle finestre. Qui Kostelnička dà voce alla sua isteria e al suo drammatico gesto nel tentativo di ridare una vita onesta alla figliastra. È proprio Kostelnička ad essere la vera protagonista dell’atto. Il dramma della pazzia umana si manifesta nella donna, in contrapposizione con la fragilità di Jenůfa per dare vita ad una scena in cui la psicologia della donna viene finemente ed efficacemente tratteggiata. Ecco poi che come se nulla fosse si ritorna alla scena inziale, alla finzione nelle nozze tra Jenůfa e Laca, per poi arrivare alla redenzione della protagonista grazie all’amore del giovane. La regia di Hermanis non solo convince appieno, ma riesce a far penetrare lo spettatore nei meandri del dramma umano che viene rappresentato; la regia si mescola alla perfezione con le note di Janàček in un crescendo di emozioni. Entusiasta il pubblico che ha potuto apprezzare appieno una splendida realizzazione di un’opera che fa rimpiangere la poca voglia dei teatri italiani di uscire dal cerchio dei soliti titoli. Hermanis si conferma un regista raffinato ed efficace, uno psicologo che riesce a far uscire dal segreto di una trama complessa e cruda un dramma che avvince e appassiona anche formalmente.

Scena di Jenůfa. Foto: Rocco Casaluci
Scena di Jenůfa. Foto: Rocco Casaluci

Se non fosse per un volume troppo altisonante, la direzione di Juraj Valčuha sarebbe stata ineccepibile. Purtroppo il direttore ha spinto eccessivamente l’Orchestra del Teatro Comunale, eccedendo nei suoni. A parte questo la difficile partitura di Janàček è stata condotta riuscendo a valorizzare il lato drammatico e quello più popolare, con un equilibrio notevole. Valčuha è riuscito a far emergere il colore locale e le piccolezze contenute nello spartito. La sua mano ferma è riuscita da dar vita alla carica emotiva che scaturisce dalle note, specie nel secondo atto.

Cast molto uniforme e ben preparato, tra cui emerge tra tutte la Kostelnička di Angeles Blancas Gulin. Il soprano spagnolo ha dato una prova di eccellente drammaticità vocale e recitativa. Non solo il suo personaggio è stato tratteggiato con una psicologia direi unica, ma ha appieno corrisposto alla visione del regista, in cui la mite sagrestana del villaggio si trasforma in un’imponente e volitiva donna fredda e calcolatrice. Il pathos che la Blancas riesce a manifestare passa sopra a qualche suono non proprio esatto. La sua grinta vocale non solo convince ma infiamma il pubblico. Nel ruolo del titolo Andrea Dankova, corretta vocalmente ma che non riesce ad entusiasmare. La Dankova, ovviamente scompare davanti alla Blancas, sia per la caratterizzazione registica del personaggio che per la voce, che rimane però sempre esemplarmente corretta, con un fraseggio esatto e buona coloritura. Prova ottima anche per Brenden Gunnel in Laca. Voce che riesce a tratteggiare l’amore dramma del giovane, Gunnel era perfettamente nella parte, dando prova di padroneggiare il ceco in modo esemplare. Stesso discorso per Ales Briscein in Števa, che emerge per la correttezza del ruolo. Folto il cast dei comprimari ai quali va il merito di un’accurata preparazione nella ricerca di adesione alla drammaturgia dello spettacolo e alla lingua ceca della partitura: Gabriella Sborgi è Starenka, Maurizio Leoni il mugnaio, Luca Gallo il Sindaco e Monica Minarelli sua moglie Rychtářka, Leigh-Ann Allen in Karolka, Arianna Rinaldi è Pastuchyna, Roberta Pozzer nella cameriera Barena, Sandra Pastrana il pastorello Jano e Grazia Paolella la zia Tetka. Più che efficace il Coro del Teatro Comunale preparato dal maestro Andrea Faidutti, a cui si unisce la precisione stilistica ed esecutiva delle danzatrici preparate da Alla Sigalova. Spettacolo qualitativamente eccellente e grandemente apprezzato dal pubblico.

Mirko Bertolini