Shim Chung di Angelo Inglese: erede della grande tradizione operistica italiana

Shim Chung di Angelo Inglese
Shim Chung di Angelo Inglese

 

Non è cosa comune incontrarsi con partiture musicali di profondo interesse, vuoi per la mancanza di idee, vuoi per cultura. La partitura di Shim Chung mi ha catturato dal primo istante. Seguo le produzioni dell’International Opera Theater of Philadelphia diretta da Karen Lauria Saillant da diverso tempo, ma la musica di Angelo Inglese, che ha visto la prima mondiale lo scorso 29 agosto nel Teatro Comunale di Città della Pieve, mi è sembrata subito senza rivali. Angelo Inglese è un compositore tutto italiano e questo non è un caso. L’Italia non teme confronti; è troppo piena di storia e Inglese si fa garante di tale immensa tradizione. Fin dal preludio si assiste e si percepisce una sorta di catarsi, uno scorrere del tempo come un fiume in piena placido ma inesorabile. Molti sono gli autori, e tutti italiani, che hanno contribuito alla formazione di Inglese ritroviamo Puccini, Mascagni, Leoncavallo, Cilèa, Zandonai, ma con uno stile tutto personale che pur proveniente dai suddetti, se ne distacca totalmente per un fare originale e direi, con “cautela”, nuovo. È un’opera che ha a che fare con l’oriente – con la Corea nello specifico – e non è difficile, nella storia di questa giovane fanciulla e del suo vecchio padre cieco, non ritrovare Liù e Timur della Turandot pucciniana. Ma starà a noi fare un piccolo sforzo e non cadere in questo facile tranello. La musica del compositore pugliese è espressa da un’orchestra di pochi strumenti ma usati con una maestria tale da apparire fusi come in un organico maggiore. C’è inoltre attesa e mistero, tragedia e sentimento, il tutto espresso con garbo e attenzione per le voci che dovranno poi affrontare tale partitura non irta di difficoltà. Questo è un altro elemento pregnante dell’arte di Inglese; l’attenzione alla voce umana come strumento principe fusa e continuazione ideale dello strumento orchestrale stesso. Ne conviene quindi, e ripeto, che l’Italia possiede quel DNA inconfutabile per saper calzare storia, libretto, musica, bel canto e grazia estetica, tutte caratteristiche fondamentali dell’arte raffinatissima di Angelo Inglese. Anche l’argomento spinoso del discorso “Aria”, così come viene ancora inteso, è qui mirabilmente espresso con una languidezza onesta e mai di accatto gratuito, le voci fraseggiano e si fondono in un’armonia concreta e strutturata fino a toccare i duetti, i terzetti e la morale finale del tutti assieme; le parti poi corali, profondamente di sapore orientali ma debitrici della musica polifonica antica impreziosiscono ulteriormente la composizione. Il tutto è fuso in un unico armonico incanto che ci intrappola e ci avvince dalla prima all’ultima nota.

Ed ora passiamo alla produzione, innanzi tutto i cantanti: nel ruolo di Shim Chung il soprano coreano Gyu Yeon Shim dalla vocalità limpida e perfettamente a suo agio nella complicatissima partitura irta di difficoltà espressive e tecniche; Shim, suo padre, è stato il poderoso basso-baritono giapponese Masashi Tomosugi, grande artista dalla mimica potente affiancata a una voce calda e struggente; Lo spirito della madre ha trovato nel mezzosoprano Elizaveta Mikhailova una voce possente, sensuale e velata da cupe e dolcissime malinconie, una voce decisamente verdiana; la limpida tenorile voce del malese Jun Wen Wong ha dato forma espressiva e liricamente parlando, agile e duttile, al ruolo de Il giovane Re; a interpretare ben tre personaggi, ovvero il Re Drago con i due travestimenti  nel Monaco e nel Mercante, è stato il  baritono macedone Darko Todorovski, un cantante che si è presentato ben tre volte nel nostro teatro e che da sempre, con la sua statuaria e nobilissima presenza, riscuote grandi consensi; infine la direzione è stata affidata a Mauro Fabbri, che ha diretto orchestra e coro di voci bianche con piglio poderoso e ha saputo trasmette emozioni e simbolismi di una partitura densa e sfaccettata. Bellissimi e fantasiosi i costumi dalle linee sinuose e dai colori evocativi e l’essenziale ma incisiva scenografia dell’abilissima Mi-Kyoung Lee. La regia di Karen Lauria Saillant è sempre elegante, dove il suo peculiare impiego del tulle si fa mezzo di espressione di racconto in cui i personaggi si immergono, si muovono e si ritrovano in un intrigarsi di scene fiabesche e mirabolanti. Il libretto, nella versione inglese, è stato affidato a Christian Bygott, pregevole lavoro snello e austero; mentre il libretto originale italiano è opera eccelsa dello stesso autore dell’opera Angelo Inglese. Grandi applausi e commossi elogi da parte del pubblico.

David Petri