Tosca va in scena al teatro Filarmonico di Verona

Tosca va in scena al teatro Filarmonico di Verona
Tosca va in scena al teatro Filarmonico di Verona

Difficilmente definibile l’allestimento ripreso da Giovanni Agostinucci per la Fondazione Arena di Verona in occasione di questa Tosca perché ciò che si presenta ai nostri occhi risulta essere uno spettacolo senza dubbio registicamente curato ma che tradisce una doppia anima che sembra affiancare momenti di ottimo teatro (entrata di Scarpia) a momenti di ripetitiva scontatezza (lotta greco-romana nello studio di Scarpia) sfocianti in intuizioni che, forzando sterilmente lo spirito della partitura, sconcertano e deludono (suicidio di Tosca).

L’idea del regista è indubbiamente quella di voler creare uno spettacolo teatralmente cesellato che doni nuove intuizioni all’interno di una cornice tradizionale ed infatti sembra creare uno spazio artisticamente astratto nel I Atto, sostituendo alle colonne barocche di S. Andrea della Valle, pesanti tendaggi che veicolano un’ atmosfera di indefinito languore che sembra sfumare i contorni e che solo con l’entrata di Scarpia muta e s’immobilizza, spostando l’attenzione sulla sua figura e sul suo torbido e indefinito potere che viene adorato, con santa devozione, dal popolo (Te Deum).

Col procedere degli Atti però la ‘piéce’ sembra allontanarsi dalle sue lusinghiere premesse, per tornare a proporre una visione ad oggi più che desueta, descrivendo uno Scarpia esteta e narciso in uno studio che lo rappresenta e davanti al quale Tosca appare indecisa; la chiusa poi lascia esterrefatti e, dopo un’apertura del III Atto in cui il blu copiativo del cielo ed il buio in palcoscenico quasi suggerivano l’imminente dramma, tradisce, con uno sterile ‘coup de theatre’, il personaggio che, cercando la morte si getta, novello Saul, sulle baionette dei soldati.

Ciò che resta, dunque, è l’amaro in bocca per uno spettacolo dalle interessantissime premesse ed intuizioni ma non sufficientemente approfondito.

Assai differenti sono sembrate le interpretazioni dei diversi ruoli nelle due differenti recite cui ho assistito.

Fiorenza Cedolins impostava una Tosca che si colloca a metà tra una diva del muto ed una donna la cui fragilità appare subito al suo ingresso in scena; ella, motore insieme a Scarpia del dramma, sembra agire perennemente spinta dalle circostanze. A tratti infantile, a tratti seduttiva con gli uomini che la circondano, la protagonista sembra esprimersi totalmente, gettata la maschera della convenzione, solo con l’atto omicida, mostrato anch’esso come superficialmente reattivo. Maggiormente a sua agio nei momenti lirici, la calda ed avvolgente vocalità della Cedolins si dipanava con ricercata misura timbrica, superando le difficoltà incontrate in partitura con l’attenta professionalità che da sempre la contraddistingue.

Tosca sheshaberidze

Completamente un’altra donna la Tosca delineata da Lilla Lee. Perfettamente in linea con la convenzione interpretativa del ruolo, l’artista cesellava vocalmente con sicurezza e convincente espressività il suo personaggio che risultava così sostanzialmente completo anche se poco approfondito.

Possente, ma poco convincente il Mario interpretato dal tenore Murat Karahan che, pur sfoggiando un timbro ed un registro acuto tonante, preciso quanto ben dominato, mostrava una tecnica che nei centri e nel passaggio gli impediva di curare a dovere il fraseggio a scapito di un’interpretazione che non può essere risolta solo ed esclusivamente sotto un registro eroico in quanto il personaggio conosce innumerevoli slanci lirici.

Sotto questo profilo è sembrata invece particolarmente interessante l’interpretazione del giovane tenore Mikheil Sheshaberidze. Forte di una timbrica interessantissima impreziosita da uno ‘squillo’ di tutto rispetto e nonostante un’impostazione tecnica che ne limitava naturalmente la rotondità del suono e che spero lo studio possa perfezionare, egli riusciva a cantare con gusto ed a smorzare la sua importante vocalità ai fini espressivi che Puccini esige dal personaggio di Cavaradossi.

Interessante sotto il profilo prettamente teatrale lo Scarpia delineato dal baritono Giovanni Meoni il quale, pur dotato di una vocalità dal timbro abbastanza chiaro ed un po’ sfibrato in acuto, mostrava consistente drammaticità e giusta presenza scenica mentre più sbilanciato sui modi e gli accenti del ‘vilain’, ma di grande spessore espressivo e vocale, risultava l’interpretazione di Boris Statsenko.

Molto bene il sacrestano interpretato dal baritono Mikheil Kiria ed in linea il resto del cast: Gianluca Lentini (Angelotti), Andrea Cortese (Sciarrone), Antonello Ceron (Spoletta), Daniele Cusari (un carceriere) e Stella Capelli (un pastore).

Il M° Antonino Fogliani, pur nell’ambito di una direzione rigorosa, imponeva tempi eccessivamente rapidi che, in più di un’occasione, hanno rischiato di compromettere il giusto amalgama con coro e, soprattutto, solisti. 

Sostanzialmente a posto il Coro della Fondazione Arena diretto dal M° Vito Lombardi ed il Coro di voci bianche A.d’A.MUS. diretto dal M° Marco Tonini

Sala gremita, segnaliamo peraltro una massiccia presenza di scolaresche diligenti e disciplinate, segno di un progetto formativo da parte della Fondazione che sta dando i suoi frutti, ed applausi per tutti gli interpreti ed il Direttore.

Silvia Campana