
Una ‘Traviata’ spenta , lontana dai bagliori mondani e dalla tragica contemporaneità che la contraddistingue , resa ancor più incerta dalle condizioni atmosferiche che ( dopo qualche interruzione) ne hanno determinato la definitiva sospensione dopo il II Atto e appannata dall’indifferenza di un pubblico distratto dalla partita (sic!) è stata quella presentata dalla Fondazione Arena di Verona nel corso della corrente stagione .
Il datato allestimento di Hugo de Ana mantiene inalterato il suo fascino, specie nel suo concetto originario di grande ‘tableau vivant’ in cui si creano e vivono scorci di realtà , ma perde pregnanza nel suo sviluppo dove un certo senso del grottesco sembra prendere il posto del concetto originario . Ciò che è possibile con un allestimento di «Aida» non lo è per «La Traviata» (che è una partitura di inaudita sensibilità moderna ) a meno che questo non abbia già ‘in nuce’ la possibilità di una modifica concettuale teatralmente convincente e contemporanea in quanto una volta scoperto il gioco e capite le sue regole, il rischio è che tutto risulti scontato quanto ripetitivo .

La Violetta di Nino Machaidze non convinceva non tanto sotto il profilo espressivo ( il fraseggio era costantemente cercato e spesso felicemente trovato ) quanto sotto quello prettamente vocale . L’artista ha uno strumento certo ragguardevole e di indubbio fascino ma il suo timbro si è molto appesantito acquisendo un colore diverso e perdendo omogenea freschezza , specie nel registro acuto . È fatale dunque che alcuni ampi portamenti così come la difficoltà a ben sostenere alcune note estreme , ne abbiano inficiato soprattutto la grande aria del I Atto, compromettendone l’effetto teatrale e musicale . Bisogna dire altresì che , come già espresso precedentemente, nonostante la serata fosse particolarmente infelice per molti fattori , la sua Violetta , pur non lasciando il segno , si ascoltava con piacevolezza per il garbo e la sensibilità mostrate dall’artista , che tradivano uno scavo sul personaggio che, con il tempo, spero potrà sempre più approfondire.
Monocorde nel timbro e nelle intenzioni risultava l’Alfredo di Francesco Demuro ed altrettanto sfocato nella vocalità che, specie nel registro acuto perdeva fibra ed omogeneità nell’accento ( ma di ben altro spessore timbrico ) Gabriele Viviani nel ruolo di Germont. Completavano il cast: Clarissa Leonardi (Flora) , Madina Karbeli (Annina), Paolo Antognetti ( Gastone), Alessio Verna (Barone Douphol) , Romano Dal Zovo ( d’Obigny), Paolo Battaglia (Grenvil), Cristiano Olivieri (Giuseppe) e Victor Garcia Sierra (Domestico/ Commissionario).
Il M. Jader Bignamini, pur con qualche scollamento con il palcoscenico ( soprattutto con il coro ) dava una lettura dello spartito personale e sostanzialmente omogenea. Un’ arena non gremita e assai distratta seguiva questa poco felice ‘premiere’ areniana che spero nelle repliche acquisti maggior tono e spessore.
Silvia Campana