Un Falstaff al San Carlo per Luca Ronconi

Un Falstaff al San Carlo per Luca Ronconi. ph.Luciano Romano
Un Falstaff al San Carlo per Luca Ronconi. ph.Luciano Romano

Non c’è dubbio che l’ultima opera di Verdi sia un capolavoro, anzi, secondo molti è il miglior Verdi: una partitura lavorata di cesello ed un libretto che Arrigo Boito trasse con maestria dalle commedie di Shakespeare, in particolare da Le allegre comari di Windsor, come e meglio di quanto aveva fatto per l’Otello. Insomma, un esempio di teatro in musica perfetto, di grande precisione e originalità, anche se alcuni (ed io tra questi) trovano che i suoi tempi irregolari, i ritmi concitati, il canto spinto all’estremo, lo rendano meno accattivante di altri capolavori verdiani.

Proprio per la sua della complessità tecnica e formale, Falstaff ha bisogno di un allestimento eccezionale sotto ogni aspetto: un cast straordinario, un’orchestra raffinata diretta da un direttore di grande personalità, e un regista che crei un meccanismo perfettamente oliato senza snaturare la vicenda, favorendo una narrazione fluida con un ritmo regolare e senza interruzioni. Soprattutto, il rapporto tra buca e palcoscenico deve essere paritario, poiché, in Falstaff più che in altre opere, l’orchestra gioca un ruolo da protagonista. In questo caso, però, tra direzione e regia non c’era un dialogo tra pari, e anzi il direttore è sembrato troppo incline a conformarsi alle indicazioni del regista.

L’evento univa l’omaggio a Luca Ronconi, venuto a mancare l’anno scorso, di cui questa è la ripresa di una regia del 2013, alla commemorazione per i 400 anni dalla morte di Shakespeare.

Il risultato è stato sicuramente di qualità per quanto riguarda i cantanti, ma non appassionante nel complesso. Non è stata la più memorabile tra le rappresentazioni di Falstaff, forse era più lo spettacolo di Ronconi, che di Verdi.

Il regista ha spostato l’ambientazione dall’epoca elisabettiana al 1890 circa. La scena di Tiziano Santi ritrae una squallida osteria della Giarrettiera, che sembra più la stanza privata di Falstaff , dove il grasso cavaliere, sporco e trasandato, passa il suo tempo a bere vino, a vessare i suoi scagnozzi Bardolfo e Pistola e a ordire le sue grottesche trame.

La scena non cambierà molto in tutti e tre gli atti, e per la casa di Ford del secondo atto è bastato aggiungere un paravento e una cesta del bucato. Il letto disfatto di Falstaff troneggia anche nell’ultima parte, quando il (finto) sabba di spiriti e folletti sembra più un incubo del protagonista che un avvenimento reale, come suggerirebbe anche l’enorme quercia capovolta sospesa sul palcoscenico.

Roberto De Candia ha cantato Falstaff con il suo suono baritonale rotondo e pieno, con buoni bassi e ottimi acuti. Ha dimostrato di avere la personalità necessaria e il talento istrionico per cantare la parte, ed era a suo agio con la musica e il testo. De Candia possiede un’ottima tecnica e una voce compatta e suadente; la sua interpretazione cavaliere ha trasmesso un senso di divertimento, ma non si è limitata a far apparire Falstaff come un arrogante e borioso. Il suo monologo, dopo essere stato gettato nel Tamigi, era così espressivo e struggente che si era tentati di prendere le parti del povero Sir John.

Un Falstaff al San Carlo per Luca Ronconi. ph.Luciano Romano
Un Falstaff al San Carlo per Luca Ronconi. ph.Luciano Romano Direttore 

Fabian Veloz è stato un Ford ardente di rabbia e gelosia. La sua voce ha un suono di buona qualità baritonale, ma, anche se sua recitazione sembrava qua e là troppo invadente, ha complessivamente ha offerto una prova piacevole e godibile.

Ainhoa ​​Arteta è stata un’elegante, vivace Alice. Aveva il senso del ruolo e ha mostrato una superba tecnica, con un tono chiaro, con fascino ed effervescenza.

Enkeleida Shkoza ha dato vita ad una deliziosa Mistress Quickly, con grande personalità e disinvoltura, mostrando bel canto, fraseggio elegante e un pregevole stile di recitazione.

Marina Comparato ha cantato Meg nel suo solito modo efficace, con toni e colore squisiti . Ha colto ogni occasione per rendere il suo carattere vivace e spiritoso e ha reso del suo difficile ruolo un piacevole e attraente ritratto.

Il soprano Rosa Feola ha una voce molto bella e adatta per Nannetta, e ha cantato le note alte senza sforzo, presentando una bella linea melodica e quel non so che di etereo ed impalpabile che richiede il personaggio. Con Antonio Poli, che ha Fenton cantato con grazia giovanile, la coppia di amanti ha fornito una parentesi romantica in una trama altrimenti ridicola e folle.

Cristiano Olivieri, Bruno Lazzaretti e Gabriele Sagona hanno fatto un’ottima impressione come (rispettivamente) Dottor Cajus, Bardolfo e Pistola.

Il direttore Pinchas Steinberg rivolto poca attenzione al lato comico e soprattutto al ruolo di primo piano che in Falstaff ha l’orchestra, che non solo deve sostenere l’azione, ma ne è parte integrante. Al contrario, il conduttore si è limitato ad amministrare ritmi e tempi, e ad accompagnare in modo pedissequo l’azione sul palco. Così facendo, ha limitato le possibilità espressive dell’Orchestra del San Carlo, che ha comunque suonato con la consueta grande professionalità, ma con tessiture e colori poco ricercati, e, anche mostrando la consueta precisione, ha mancato di una certa leggerezza e di umorismo.

Lorenzo Fiorito

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