Non priva di note problematiche la prima de Il Trovatore presentata dalla Fondazione Arena di Verona quale ultimo titolo della stagione estiva 2016 e la causa di ciò ritengo personalmente non sia da ricercarsi nella prestazione , più o meno positiva , di questo o quel solista (troppo comodo scaricare la responsabilità di una recita ‘mancata’ ad uno o due elementi ) in quanto quando capita di assistere a serate così nettamente ‘no’ , le motivazioni sono sempre da ricercarsi anche altrove . In questo caso la ‘piece’ è parsa caso emblematico di quanto e come versi la situazione operistica attuale, almeno per quanto riguarda il glorioso (un tempo) anfiteatro. Mentre infatti la città continua a riempirsi di turisti che quasi esclusivamente per assistere allo spettacolo d’opera , scelgono Verona quale meta per le vacanze, pare che la città tutta (a partire dai ruoli di potere) continui nell’efferato proposito di spolparne le carni riducendola all’osso , almeno per quanto riguarda il suo aspetto artistico che ne ha rinnovato la destinazione d’uso dal lontano 1913. Dunque, come in una catena di montaggio , non tanto poco rispetto nei confronti del grande pubblico areniano, che, il più delle volte, non ha più ormai le coordinate per esprimere un’ opinione formata, ma soprattutto nei confronti di chi il teatro lo realizza quali gli artisti , il coro , l’ orchestra e quant’altro . La Fondazione Arena di Verona non è un teatro di provincia ma proviene da anni di tradizione che l’hanno resa nota in tutto il mondo per l’unicità delle sue rappresentazioni operistiche , dunque ha il dovere di organizzare i suoi spettacoli in modo tale che agli artisti sia concesso il tempo e il modo per prepararsi decorosamente allo spettacolo e, se ció non fosse possibile , sarebbe buona cosa almeno informarne pubblico e stampa . Mi diranno che ormai é così ovunque ma questa non è comunque una risposta convincente o almeno , non più .
Dopo questa necessaria premessa veniamo allo spettacolo in sè.
Con questa regia ( prima in arena nel 1995) Franco Zeffirelli ci mostra alcune delle caratteristiche che ne hanno siglato gli anni d’oro: aderenza alla tradizione interpretata con raffinato senso artistico ( qui la pittura neogotica dei primi Novecento ) unito ad un giusto uso delle masse , nell’ambito di una spettacolarizzazione misurata e giustificata sia dalle motivazioni drammaturgiche che dall’ esigenze dello specifico spazio teatrale . Certo la mano del maestro è lontana ( e ben si vede ) ma l’effetto e l’idea originaria di una fantastica città di ferro, che prende vita e si anima sul palcoscenico come nella nostra fantasia, resta vincente .
In palcoscenico il cast viveva momenti alterni. Nel ruolo di Leonora il soprano Hui He ( molto probabilmente troppo provata dall’impegnativo ‘tour de force’ delle Aide areniane) era lontanissima dai suoi normali standard ( certo non privi di pecche ma in ogni caso di indubbia qualità vocale ed espressiva ) interpretativi, tratteggiando in modo sommario e tecnicamente impreciso un ruolo che è perfettamente nelle sue corde così come il tenore Marco Berti, nel ruolo del titolo, si limitava a cantare con la professionalità che lo contraddistingue ma che non bastava, in quest’ occasione, a realizzare un’esecuzione corretta tecnicamente quanto cesellata nel fraseggio .
Interessante si poneva invece il Conte di Luna tratteggiato dal baritono Artur Rucinski che , pur non possedendo certo una vocalità possente, la usava con intelligenza cantando con grande musicalità ed espressione, e ciò va indubbiamente rimarcato positivamente. L’Azucena di Violeta Urmana convinceva più interpretativamente che vocalmente ma, nel complesso, si portava con decoro. Completavano il cast il sobrio Ferrando di Sergey Artamonov, Elena Borin (Ines), Antonello Ceron ( Ruiz), Victor Garcia Sierra (vecchio zingaro ) e Cristiano Olivieri ( un messo) .
Annoiata e priva di particolari intensità espressive ( a parte in rari momenti) la pur sapiente direzione del M. Daniel Oren, tradiva quella mancanza di passione e trascinante energia sigla distintiva della maggior parte delle recite areniano … è forse ardito pretendere di più in questa difficile situazione ? Io credo di sì , soprattutto per gli artisti di questo teatro che come tale deve essere gestito e tutelato , i tempi dei romani sono lontani …
Silvia Campana