Armida. Traetta. Martina Franca

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Festival della Valle d’Itria 2014, Martina Franca, Cortile di Palazzo Ducale. 27/07/2014

“ARMIDA”

Azione teatrale per musica in un atto di Giovanni Ambrogio Migliavacca. Musica di Tommaso Traetta

Edizione critica a cura di Luisa Così. Prima esecuzione in tempi moderni

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L’ultima opera in programma al 40° Festival della Valle d’Itria è stata l’Armida di Tommaso Traetta, che è risultata essere la prima esecuzione in tempi moderni, grazie all’edizione critica che ha curato Luisa Cosi.

Traetta compositore pugliese di Bitonto, fu uno dei più importanti esponenti di quella che è stata definita la scuola del ‘700 napoletano, che raccolse attorno alla Corte Borbonica i più importanti talenti del Regno delle due Sicilie, in buona parte pugliesi, che influenzò per buona parte del secolo la cultura musicale europea e che ebbe come punte di diamante compositori del calibro di Paisiello e Cimarosa.

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Tratta dalla celebre vicenda raccontata da Torquato Tasso nella Gerusalemme liberata, quella del valente e casto guerriero Rinaldo sedotto dalla bellezza e dalle magie della maga Armida, e che ha ispirato vari compositori: Gluck e Rossini, solo per citare i più famosi. L’opera di Traetta si presenta oggi dì complessa e di non facile ascolto, soprattutto per la lunghezza delle arie e le loro riprese, che a Martina Franca, per ovvi motivi di natura filologica, sono state eseguite nella loro integrità.

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Parte della noia che ha serpeggiato in più di un momento può essere imputata alla per altro buona direzione di Diego Fasolis, avaro nel gioco dinamico e nell’intervenire con più fantasia proprio nelle riprese. Le arie, susseguendosi le une alle altre nella concezione stilistica per cui tutti gli interpreti ne dovevano eseguire almeno una ogni atto – e quindi alcune risultano musicalmente delle vere e proprie arie da “sorbetto” dal valore musicale trascurabile – ripetevano quasi pedissequamente la prima parte senza che vi fossero variazioni apprezzabili. In più, togliendo le due valide protagoniste, il cast a disposizione si faceva apprezzare più per la buona volontà che per doti canore all’altezza del compito richiesto.

L’Orchestra Internazionale d’Italia, qui ricreata ad hoc con l’inserimento di strumenti barocchi poi passati in disuso come la tiorba, ha eseguito in modo più che soddisfacente una partitura certo molto raffinata ed elegante. Buona, ancora una volta, la prova fornita dal coro della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca, sempre obbediente agli ordini del M° Cornel Groza.

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Più carenze vi sono state dal punto di vista scenico, in quanto la regista Juliette Deshamps ha optato per una messa in scena di scarsa comprensione, con sovrabbondanza di simbologia che più che chiarire confonde le idee a chi non è a conoscenza della trama.

Lo scenografo Nelson Willmotte, pur in un minimalismo che del barocco non poteva suggerire nulla, ha creato uno spazio che non permetteva la perfetta visione di ciò che accadeva in palcoscenico a buona parte del pubblico. Un blocco monolitico centrale, infatti, impediva la visibilità della parte destra e dalla parte sinistra a seconda della posizione di chi stava seduto nel vasto cortile del Palazzo Ducale.

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I costumi realizzati dalla pur fantasiosa e stravagante Vanessa Sannino sono risultati, al fine dell’opera, assurdi e spesso quasi imbarazzanti: passi che si voglia fare della maga guerriera Armida una copia di Lady Oscar, ma perché trasformare Rinaldo in una sorta di Befana in gonnella, con i capelli grigi e pettinatura a boccoli rasta?

La regia in sé non è risultata né tradizionale né d’avanguardia, piuttosto convenzionale e prevedibile nell’ottica di una “modernità” che ormai rasenta la routine. Non vi è stata alcuna seduzione vera, niente di realmente erotico o di emozionale, come aveva anticipato la stessa Deshamps durante la presentazione dell’opera. Per contro in alcuni momenti si è rasentata la comicità involontaria: per esempio all’entrata di Argene e Fenicia, amiche e consigliere della protagonista, che ancheggiavano agitando le borsette come delle peripatetiche mentre i crociati, terrorizzati dalle loro mosse, si aggrappavano disperatamente ai muri al loro passaggio. Criptico, infine, il messaggio che sarebbe dovuto pervenire quando alcuni ballerini-mimi o/e gli artisti del coro strizzavano delle spugne dalla cima dei parallelepipedi (le mura di Damasco?) facendo percolare un liquido color blu o, in alternativa, rosso.

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A salvare capre e cavoli di una regia a dir poco incongruente ci hanno pensato i danzatori (in numero di tre) che si sono rivelati il collante fra le varie scene in merito ad una divertente ed efficace coreografia.

Grande la prestazione del soprano Roberta Mameli nel ruolo della protagonista. E’ stata impeccabile in una parte ostica per i numerosi ed acrobatici virtuosismi di cui è cesellata; bravissima nel riuscire a cantare anche nelle scomode posizioni in cui l’ha obbligata la regista, che quando non la teneva in piedi in movenze che ricordavano la famosa spadaccina dei cartoni animati, la costringeva sdraiata o strisciante per terra o in posizioni da danzatrice o contorsionista. Se a questo si aggiunge che la Mameli ha cantato tutto scalza, all’aperto, dopo che vi era stato un acquazzone e vi era molta umidità si comprende come la sua prova sia stata anche eroica, riuscendo a realizzare anche un finale da brividi.

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Il mezzosoprano Marina Comparato non è stata da meno nel ruolo di Rinaldo, grazie alla sua facile e brillante agilità, al vertiginoso vocalizzare ed a delle qualità vocali e timbriche che la rendono ideale per i ruoli “en travesti”. Le è riuscita, grazie al bellissimo e pertinente fraseggio, la dimensione eroica del personaggio, nonostante il costume comico e la parrucca imbarazzante in cui era costretta.

Nei ruoli di Argene e Fenicia, rispettivamente Leslie Visco e Federica Carnevale, hanno dato una buona prova dal punto di vista vocale e, come detto sopra, hanno regalato l’elemento simpatico e divertente della messa in scena, uno dei pochi che resterà nella mente.

Il soprano Marina Meerovich ha superato con sufficienza il ruolo di Artemidoro. Le avrebbe giovato il taglio nelle riprese delle arie poiché in acuto (a partire dal Si) la voce assume un tono “chevrottante”.

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I due tenori, l’Idroate di Leonardo Coltellazzi e l’Ubaldo di Mert Süngü, si sono dimostrati l’uno stilisticamente fuori parte e l’altro decisamente insufficiente.

Grande affluenza nel cortile del Palazzo Ducale che offriva l’aspetto del “tutto esaurito”. Il pubblico, nonostante la temperatura serale via via più fredda in corso d’opera e la lunghezza della medesima divisa in due tempi, accorpando il primo al secondo atto, ha resistito fino alla fine decretando un franco successo per la parte musicale e, viceversa, qualche sonora contestazione per la parte visiva.

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Armida           ROBERTA MAMELI

Rinaldo          MARINA COMPARATO

Fenicia          FEDERICA CARNEVALE

Artemidoro    MARIA MEEROVICH

Idraote           LEONARDO CORTELLAZZI

Argene          LESLIE VISCO

Ubaldo          MERT SÜNGÜ

Danzatori  FATTORIA VITTADINI:
Maura Di Vietri, Giuseppe Insalaco, Filippo Porro
Coreografie   FATTORIA VITTADINI

 

Maestro concertatore e direttore d’orchestra      Diego Fasolis

 

Maestro del coro                                                 Cornel Groza

Regia                                                                  Juliette Deschamps

Scene                                                                 Nelson Willmotte

Costumi                                                              Vanessa Sannino

Disegno luci                                                       Francois Menou

 

Coro della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca

Orchestra Internazionale d’Italia

 

Domenico Gatto