Teatro Alla Scala, Milano
18/02/2014
Dramma in quattro parti; libretto di Salvatore Cammarano
Il Trovatore di Verdi che sta andando in scena al teatro alla Scala non resterà certamente nella memoria collettiva. Da un punto di vista scenico viene ripresa la messa in scena con cui Hugo de Ana inaugurò la stagione del 2000. Scene molto suggestive quelle di de Ana, tutte incentrate sui movimenti degli elementi rocciosi che creano i vari ambienti. Suggestiva la scena del convento e molto di impatto l’ultimo atto con l’ammasso dei cadaveri dei guerrieri. In questa scena molto cupa, come l’opera, notturna per eccellenza impone, i movimenti dei personaggi sono minimi ma molto efficaci.
Per quanto riguarda la parte musicale, questa è stata molto inficiata dalla scelta del direttore: Daniele Rustioni è giovane, milanese e potrebbe anche avere un futuro roseo ma per il momento non è un direttore adeguato ad un teatro dell’importanza di quello scaligero, la sua direzione è stata piatta e lenta, in alcuni momenti quasi letargica, mentre in altri esplodeva in impeti insensati, soprattutto col coro che, come nel caso di quello degli zingari, cantava con l’enfasi e la potenza di un “gloria all’Egitto” dell’Aida. Ma cosa ancor più grave si notava una grossa scollatura fra quello che avveniva in buca e quello che avveniva sul palco. Sarebbe il caso di farlo crescere con calma senza affidargli dei compiti, come quello di dirigere un titolo verdiano di tale importanza in un teatro di tale importanza, con un enorme impegno nervoso. Con questa direzione i cantanti, tutti di primordine, hanno fatto quello che hanno potuto.
Maria Agresta è stata sicuramente la migliore del cast, riuscendo a dosare bene la sua elegante voce, soprattutto nel terzo atto, in cui Leonora è assoluta protagonista, molto emozionante in “Amor sull’ali rosee” in cui ha dato sfoggio ai sui bellissimi filati e nella cabaletta seguente con le sue ottime agilità. Buona prova anche di Ekaterina Semenchuk, che ha dato vita ad un’Azucena che se non ha avuto punte eccezionali ma non ha di certo demeritato.
Marcelo Álvarez è stato un buon Manrico, riuscendo a dare le varie sfumature del personaggio, dalla morbidezza del “Ah si ben mio” all’impeto di “Di quella pira” con molta naturalezza, anche se abbassata di mezzo tono, come ormai è diventata usanza fra i tenori.
Franco Vassallo nel ruolo di Conte di Luna è stato probabilmente l’elemento più debole fra i quattro protagonisti. Va detto a sua discolpa che il “Il balen del suo sorriso” è stato il momento più letargico nella direzione di Rustioni.
Ottimo Kwanchul Youn nel ruolo di Fernando, bella voce di basso. Completavano il cast Marzia Castellini nel ruolo di Inés, e Massimiliano Chiarolla nel ruolo di Ruiz.
Buona la prestazione del coro diretto da Bruno Casoni anche se dosato un po’ male dal direttore.
Il Conte di Luna Franco Vassallo
Leonora Maria Agresta
Azucena Ekaterina Semenchuk
Manrico Marcelo Álvarez
Ferrando Kwangchul Youn
Ines Marzia Castellini
Ruiz Massimiliano Chiarolla
Un vecchio zingaro Ernesto Panariello
Un messo Giuseppe Bellanca
Direttore Daniele Rustioni
Regia, scene e costumi Hugo De Ana
Luci Marco Filibeck
Movimenti coreografici Leda Lojodice
Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Domenico Gatto